MASSIMILIANO APOLLONIO

Moscato, che passione!

 

Quest’anno i riflettori della guida “Dolce Puglia” sono accesi infatti su quello che viene considerato all’unanimità il vino più nobile e antico di Puglia, prodotto e commercializzato già intorno al Mille dai mercanti della Repubblica di Venezia, che di qualità se ne intendevano; la tradizione vinicola della zona di Trani risale addirittura ai Fenici e ai loro scambi commerciali con gli abitanti dell’antica Puglia.

Galeotte furono anche, secoli dopo, le cronache di un celebre viaggiatore, Fra’ Leandro Alberti, che in una sua famosa opera lo definì “tanto eccellente ch’è cosa molto delicata da gustare”, e questo fece la fortuna pressoché imperitura del Moscato di Trani, tant’è che fino a qualche decennio fa, volendo indicare un’osteria in quel di Milano, si soleva dire “un trani”.  Proprio alludendo al porto pugliese da cui si esportavano grandi quantità di questo vino, la cui popolarità, cresciuta senza sosta, si è poi consolidata in una Doc che risale all’11 settembre 1974, e che solo in parte rende giustizia a un prodotto di cui si racconta anche in molti testi della Grecia antica.

Parliamo quindi dei primordi dell’enologia pugliese; questo fa idealmente pendant, in questo preciso momento storico, con il recente accordo tra Università di Lecce, Bari e Foggia per l’istituzione della Facoltà di Viticoltura ed Enologia presso l’ateneo salentino, forse già a partire dal prossimo anno accademico e nell’ambito del dipartimento di Scienze e tecnologie agrarie e forestali. Un grande risultato, per Assoenologi di Puglia, Basilicata e Calabria, che da anni si spende per raggiungere questo obiettivo, ovvero per sanare una ferita aperta quando furono chiuse le analoghe facoltà di Foggia e Potenza. Costringendo i nostri ragazzi ad andare a studiare altrove, quando invece avremmo avuto bisogno delle migliori risorse umane per far crescere il nostro territorio, dal punto di vista enologico e non solo.

Dunque il Moscato, emblema enologico storico del nostro territorio, ben può essere testimonial illustre di questa novità che, se andrà finalmente a buon fine, ci consentirà di tenere sempre più alta la bandiera dell’enologia e il nome dei vini pugliesi nel mondo.    Perché il vino dolce, si sa, ha da sempre un prestigio che lo rende diverso da ogni altra etichetta, un appeal che lo rende irresistibile agli occhi degli appassionati: e il Moscato , dorato, profumatissimo, con note di burro e miele, frutta e fiori gialli, ma anche sentori di spezie dolci, mandorle e frutta tropicale ,ha capacità quasi esclusiva di relazionarsi alla perfezione con pasticceria secca e crostate, pasta di mandorla e torte alla crema o al cioccolato, ma anche con i formaggi saporiti.

Il nome sembra derivi da Muscum, per il forte aroma caratteristico di quest’uva che i francesi chiamano Musque’ e costituisce prodotto d’eccellenza regionale a prescindere dal luogo di produzione, caro com’è alla storia della nostra terra. E quella dei vini dolci – ho già avuto modo di dirlo – è una sfida produttiva secondo me esaltante: siamo riusciti a fare vini secchi di grande qualità diffusa, espressione di un territorio intero, non della maestria una singola azienda, ma ora dobbiamo applicare questa tenacia produttiva ai vini dolci. Moscato in testa.

Di seguito l’esperienza “sul campo”di due cari colleghi,nonché consiglieri di Assoenologi Puglia,Basilicata e Calabria: rispettivamente Giuseppe Di Gregorio e Laura Minoia:

“Il vitigno in oggetto è coltivato nell’agro di Barletta. Dalla foglia pentagonale di grandezza media e trilobata, il grappolo cilindrico-piramidale presenta un acino di media grandezza e sferico, di colore giallo. Raccolto tra la prima e la seconda decade di settembre dà origine ad un vino di colore giallo paglierino. Le uve raccolte a mano e scrupolosamente selezionate, arrivano in cantina dove vengono pigiate e indirizzate alla pressa, dove sostano per una breve macerazione di 4-5 ore.

Terminata la macerazione, il mosto fiore viene raffreddato ad una temperatura di 10 °C e chiarificato. Trascorse 30 ore, si preleva la parte limpida del mosto con una torbidità molto bassa. Aggiungendo lievito selezionato e attivante si avvia la fermentazione, la quale viene condotta ad una temperatura di 12 °C; la durata è di 16-18 giorni consumando circa 10 grammi di zucchero al giorno. Dal quarto giorno di fermentazione viene aggiunto al mosto, 1 grammo di attivante al giorno in modo da avere una regolare trasformazione degli zuccheri e non indurre i lieviti a sviluppare composti solforati. Al termine della fermentazione, il vino viene raffreddato a 10 °C e le fecce fini vengono riportate in sospensione ogni quattro giorni per un mese permettendo il rilascio delle sostanze aromatiche ed aumentando il volume in bocca. Successivamente il vino viene stabilizzato proteicamente e travasato. Da qui è pronto per essere venduto o imbottigliato.”

” Per l’ottenimenti di un vino così particolare devo confrontarmi con una severa selezione manuale dei grappoli che preservi solo quelli sani e maturi, un appassimento prolungato di 10-20 giorni effettuato in pianta, con la torsione del peduncolo,oppure su stuoie stese al sole. Il calo del prodotto spesso arriva al 40% con la necessità di capovolgere più volte l’uva sotto il sole. Rese in vino molto basse, quindi, dovute alla disidratazione delle stesse con conseguente concentrazione degli zuccheri. Le lunghe fermentazioni e l’affinamento fanno sì che ovviamente possano lievitare ai costi di produzione per l’ottenimento del Moscato.”

Il nettare che si ottiene ripaga, però, tutti noi addetti ai lavori, enologi, sommelier ed appassionati dei tanti sforzi resi durante tutto il processo produttivo. Il risultato? Un’eleganza strabiliante!!!

Massimiliano Apollonio

Presidente Assoenologi Puglia, Basilicata e Calabria