GIUSEPPE BALDASSARRE

TANTI MODI PER DIRE MOSCATO

    Il moscato è uno dei vini più antichi, che evoca, anche nei non esperti, una grande ricchezza di profumi caratteristici, in grado di lasciare una traccia indelebile sia al naso che al palato. A ben vedere, però, l’argomento è molto più complesso perchè il nome moscato nasconde un universo di vitigni e una pluralità di vini, diversi non solo per i luoghi e le tecniche di produzione, ma anche per i biotipi, che generano uve fra loro alquanto differenti, anche se accomunate da comuni marcatori aromatici.

    Il nome

    Deriverebbe da muscum, che sta per muschio o noce moscata,  a motivo del profumo e del gusto, intensamente aromatici, dovuti al ricco contenuto di terpeni della buccia e della polpa di queste uve. Non convince la tesi che vorrebbe far provenire il nome di quest’uva dalla sua capacità di attirare le mosche.

    La storia

    Gli studi ampelografici, anche grazie alle ricerche genetiche, hanno individuato nel moscato un vitigno antichissimo, ancestrale, una sorta di archetipo progenitore, uno dei primi ad essere coltivato, dal quale nel corso del tempo sarebbero derivate molte delle varietà diffuse o conosciute attualmente.

    Fu molto apprezzato dai Greci, che dall’“Anathelicon moschaton” elaboravano ricercati vini dolci facendo appassire le uve, dopo averle collocate su stuoie o anche sui tetti delle case. Furono gli stessi Greci ad esportare questo vitigno dapprima nelle loro colonie mediterranee e poi nell’Italia Meridionale, nella cosiddetta Magna Grecia. Successivamente attraverso il  porto di Marsiglia, affacciato sul Mediterraneo,  lo diffusero in Europa. Il moscato prese allora due direzioni,  da una parte, verso ovest espandendosi  nel sud della Francia, dall’altra verso est, fino a raggiungere prima la Liguria, e poi il Piemonte.

   Anche i romani apprezzarono molto il moscato; a Roma Catone lo chiamava “Uva apicia”, mentre il nome adoperato da Varrone, Columella e Plinio era “Apiana”,  perché era l’uva prediletta dalle api per il profumo e il sapore dolce e zuccherino. Intorno al II secolo a.C. i romani introdussero le piante di moscato nella Gallia Narbonense.

    Già ai tempi di Carlo Magno dall’importante porto di Frontignan nel Roussillon partivano i vini di moscato, ma un grande impulso al commercio del moscato e alla sua coltivazione fu data nel medioevo dai mercanti Veneziani. La coltivazione del vitigno si diffuse velocemente grazie alle richieste delle classi agiate.

   Intorno all’anno mille si comincia a parlare del rinomato e costoso moscato di Trani.

   Tra il XII e il XIII secolo Montpellier era ben conosciuta per la vendita di Moscati, come vini tra i più importanti della regione. Di  moscato all’inizio del Trecento scrive  nel trattato Liber ruralium commodorum il magistrato bolognese Pier de’ Crescenzi. Nello stesso periodo è documentata la coltivazione del moscato in Piemonte. Oltre all’albese e alla Valle d’Aosta, una delle principali zone di coltivazione dell’uva Moscatella nel Medioevo fu quella di Gattinara.

   La coltivazione del moscato in Italia si diffuse ulteriormente a partire dal ‘500 rinascimentale, quando per le sontuose mense dei principi, la ricerca di vini pregiati, in particolare dolci, liquorosi e passiti, divenne fondamentale.

   Le caratteristiche del vitigno

   Il moscato è un vitigno molto adattabile e a produzione costante, che si presta a varie forme di allevamento, come l’alberello, la spalliera e il tendone. È particolarmente sensibile alla peronospora, all’oidio e al marciume, ma resiste piuttosto bene al freddo e alla siccità. Ciò spiega la sua diffusione in contesti geografici e climatici alquanto diversi fra loro. Dà i risultati migliori su terreni calcarei, tufacei, granitici, poco argillosi e umidi, in climi ventilati e asciutti. A Trani e dintorni i vigneti sono talora ubicati in cave di tufo abbandonate, dette tufare.

   I volti multiformi del moscato

   Il moscato è diffuso quasi in ogni angolo del mondo, dalla Francia alla Spagna, dalla Germania all’Europa dell’Est, dalla Grecia al Sud Africa. In Italia è al quarto posto per estensione vitata.

   Vi sono tanti modi per dire moscato, intanto perché questa varietà è conosciuta con una lunghissima lista di sinonimi: muscat à petit grains in Francia, weisser muskateller in Germania, moscato di Canelli, moscato d’Asti, moscadello di Montalcino, moscato di Terracina, moscato reale di Trani, moscato di Sorso Sennori, moscato di Siracusa, moscato di Noto, moscato di Pantelleria, solo per citarne alcuni. Esistono poi diversi biotipi di moscato, il moscato bianco,  il moscato giallo, il moscato d’Alessandria (o zibibbo), il moscato rosa, il moscato nero, il moscato di Scanzo.

   Moscato bianco

   E’ il più coltivato e diffuso, oltre ad essere il più antico, insieme con lo zibibbo. In Italia lo si trova  in Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. In Puglia è detto anche moscato reale, nel senso di vero, per differenziarlo da altre varietà che richiamano per la loro aromaticità il moscato, ma non si identificano con esso. Il profumo del moscato è caratterizzato dal caratteristico profilo terpenico, che vede il linalolo come composto principale, con concentrazioni molto superiori a quelle del geraniolo.

    Fra i vini di pregio ottenuti dal moscato bianco vi sono  il Moscato d’Asti e l’Asti spumante DOCG, la cui produzione è consentita nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo, ma anche il Loazzolo, il Moscato di Strevi, il Muscat de Chambave, il Moscato di Scanzo DOCG, il Moscadello di Montalcino, il Moscato di Terracina, il Moscato di Trani, il Moscato di Siracusa, il Moscato di Noto, il Moscato di Cagliari e il Moscato si Sorso-Sennori.

   Da uve moscato bianco (muscat a petits grains) e zibibbo si ottengono nel Languedoc-Roussillon il Muscat de Rivesaltes, che già nel 1394 compariva sulla mensa di Benedetto XIII, e il Muscat de Frontignan. Nella Valle del Rodano meridionale da uve moscato si ottiene un altro famoso vino liquoroso, il Muscat de Beaumes de Venise.

    Moscato di Alessandria o zibibbo

    E’ uno dei moscati più antichi, imparentato con il moscato bianco. Si pensa che sia originario dell’Egitto.  Il nome zibibbo utilizzato in Sicilia secondo alcuni deriva dalla località egizia El Zibibb da cui proverrebbe, secondo altri risale alla parola nordafricana Zibibb che significa uva secca, per la sua attitudine all’appassimento. E’ coltivato sull’isola di Pantelleria, oltre che in Francia, Portogallo (moscatel de Setubal),  Repubblica Sudafricana e Australia.

    Da questo biotipo di moscato si ottiene il Moscato di Pantelleria o Passito di Pantelleria o Pantelleria DOC.

    Moscato di Terracina

    E’ un particolare biotipo di moscato bianco, diffuso nell’agro pontino e nella piana di Fondi  e caratterizzato da una spiccata aromaticità. Conosciuto fin dal 1600, raggiunse la massima estensione vitata (pari a 1400 ettari) nella prima metà del Novecento. Dopo un periodo di oblio, è stato recentemente recuperato; la superficie attualmente coperta da questo biotipo è di circa 50 ettari.

    Moscato giallo  

    Detto anche moscato Sirio per la sua origine medio-orientale, è da alcuni considerato un vitigno distinto dagli altri moscati. In Alto Adige è conosciuto come goldmuskateller. Questa tipologia di Moscato si differenzia dalla prima per avere un colore della buccia giallo dorato molto carico, inoltre il grappolo è più grande e più allungato e la buccia è più spessa e consistente.

    In Alto Adige e Trentino se ne ricavano vini bianchi secchi e pregevoli passiti.  Dal moscato giallo si elaborano in Veneto spumanti e passiti nella DOCG Colli Euganei Fior d’Arancio. È anche coltivato in Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna.

   Moscato rosa

   Il vitigno moscato rosa sarebbe arrivato in Tirolo, ed in seguito nel tortonese dalla Dalmazia e dall’Istria. Il nome sembra derivare più dall’aroma primario di rosa che caratterizza quest’uva aromatica, che non dal colore della bacca, che è in realtà nero-bluastra. E’ diffuso soprattutto in Trentino, Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia. In Trentino e in Alto Adige è anche chiamato rosenmuskateller.

    Moscato di Scanzo

    E’ un biotipo di moscato a bacca nera esclusivamente coltivato a Scanzorosciate in provincia di Bergamo, dove dà vita alla più piccola DOCG italiana, nella quale un ventina di produttori da circa 31 ettari ricavano circa 60 mila bottiglie di un passito tanto raro quanto ricercato. In passato  era ricavato dall’appassimento delle uve per 30-50 giorni nelle case. Veronelli, nel 1974 se ne occupò e di lì fu riscoperto. Considerato alla stessa stregua del denaro dalla Repubblica di Venezia, divenne il vino ufficiale degli zar, oltre ad essere utilizzato durante la messa nei territori bergamaschi fino al 1850.

   L’appassimento dell’uva deve protrarsi per almeno 21 giorni fino al raggiungimento di un tenore zuccherino di almeno 280 g/l;  è previsto un invecchiamento di almeno ventiquattro mesi a partire dal 1º novembre successivo alla vendemmia.

   Moscato Nero di Acqui

   E’ un raro biotipo tipico della zona dell’acquese e del tortonese in Piemonte. Essendo  poco produttivo e poco zuccherino, di solito  è assemblato al Brachetto.

   Moscatello selvatico

   In Puglia è particolarmente diffuso il moscato bianco, che a Trani e dintorni è chiamato moscato reale, nel senso di vero. Un altro vitigno tipicamente pugliese con caratteristiche simili al moscato è il moscatello selvatico, detto anche moscatellone o ragusano. Le ricerche genetiche hanno dimostrato trattarsi del frutto di  un incrocio spontaneo fra bombino bianco e moscato di Alessandria

   Il moscatello selvatico è un vitigno vigoroso, caratterizzato da una fenologia medio-precoce, da una produzione piuttosto bassa, di medio contenuto zuccherino  e bassa acidità totale. Il profumo caratteristico è dovuto soprattutto agli elevati livelli di linalolo, le cui concentrazioni sono due-tre volte superiori a quelle di geraniolo. Può essere impiegato, in misura non superiore al 15%, nella produzione del Moscato di Trani. In altre versioni, ferme o spumantizzate, è adoperato anche in purezza.

   Conclusioni

   Il mondo dei moscati è un mondo composito, ricchissimo e affascinante, che ha nella Puglia uno snodo importante. Nella nostra regione sono soprattutto il moscato bianco, detto anche reale, e il moscatello selvatico ad esercitare un ruolo di primo piano, con la loro singolare aromaticità.

   In anni recenti stanno dimostrando tutto il loro interessante potenziale le versioni secche di vini ottenuti da tali vitigni,  con interpretazioni che vanno da vini tranquilli sorprendenti a innovativi spumanti ottenuti col metodo classico.  D’altro canto, confermano tutto il loro fascino le tipologie dolci, sia che si tratti di spumanti di solito ottenuti col metodo Martinotti, che di vini fermi, di vendemmie tardive o di passiti. Qui la novità, oltre che nella perfezione di esecuzione dei vini, grazie alle opportune conoscenze e tecnologie agronomiche, sta nella creatività degli abbinamenti.  Accanto ai classici accostamenti  alla pasticceria secca, ai dolci di mandorle, alle crostate e ad altri  dolci alla frutta, si fanno strada matrimoni meno ovvi con formaggi semistagionati ed erborinati, col fois gras, con le ostriche e i cibi affumicati e speziati e persino con i salumi. E così mentre la tavolozza dei moscati si tinge dei colori e delle tipologie più diverse, anche il ventaglio dei cibi si amplia per consentire di trovare tanti modi per raccogliere e vincere la sfida dell’abbinamento.

Giuseppe Baldassarre

Responsabile Eventi AIS Murgia