Pietro Liuzzi

Non c’è ragione, parlando di Malvasia, di indugiare oltre. Il vino consente a noi di attraversare il tempo e lo spazio più di ogni altro vitigno, più di ogni altro nettare. Per noi pugliesi, in particolare, l’esperienza sensoriale si fa geografia, storia e mito. L’Oriente con le sue albe chiare, i meridiani roventi di sole, la salsedine nell’aria del mattino. La regione più ad est d’Italia risente nella sua singolare luce di queste atmosfere, di queste percezioni. È nata infatti ad est la nostra Malvasia ed il suo etimo dolce si fa presagio di mollezze ed abbandoni.

Quando la cultura greca permeò quella romana, facendo della Puglia antica la naturale terra di passaggio; quando la “regina viarum, l’Appia, per secoli risuonò di calzari, zoccoli  e ruote di carri; quando, sul finire dell’impero, le distruzioni e la crisi si abbatterono su questo lembo di italica terra: quel vino sopravvisse al lugubre destino e fu vaticinio di rinascita e di nuove fortune.

Parliamone pure, gustiamone pure i delicati sentori. Se è vero, come è vero, che dietro ad ogni vino c’è il “terroir”, nel caso della Malvasia c’è anche il peso e la responsabilità della storia, dei popoli, dell’economia delle comunità agricole. Mi sovviene la Malvasia nei racconti dei contadini, dei viticultori, dei cantinieri scomparsi, nei brindisi dialettali. “Cuss vine ie’ de Tarde, de chelore amarande, si chiame Malvasie, pe lu prisce de casa mie”.

C’è un libro, datato 1975, edito dal grande editore innamorato di Puglia, Adda di Bari, che nell’eleganza della composizione e nella singolarità del formato (contiene anche un 33 giri) “sgocciola” di vino pugliese per eccellenza. E la nostra Malvasia ricorre nelle raffinate descrizioni e nelle tavole a colori di alcuni grandi di Puglia: lo scrittore Giuseppe Schito, il gastronomo Luigi Sada, il pittore Ugo Martiradonna, l’attore e regista Vito Signorile; e altri esperti ancora, tutti sapienti divulgatori di una pugliesita’ che oggi torna di maggiore ausilio ai nostri sperduti destini, ai nostri cammini incerti, alle nostre vocazioni mortificate. Ecco quindi spiegato il perché non bisogna indugiare oltre.

La scelta di Dolce Puglia di affrontare la Malvasia quale vino di questa edizione vuol essere, a mio modesto parere, l’eroico farsi carico del bivio che ci appare difronte: la strada facile o il percorso irto di difficoltà. Gli amici dell’Ais – Delegazione Murgia – hanno preferito la seconda, intuendo nel rischio intellettuale la fortuna che di certo arriderà alle nostre viticultura ed enologia, alla nostra gastronomia, alla nostra autentica tradizione.

PIERO LIUZZI 

Senatore della XVII Legislatura