IL SOMMELIER E L’ALEATICO – di Giuseppe Baldassarre

IL SOMMELIER E L’ALEATICO

di Giuseppe Baldassarre

Misterioso nelle origini, inconfondibile nei tratti sensoriali che trasmette ai vini, legato in un modo o nell’altro alla Puglia, questo vitigno non smette di esercitare il suo fascino. Anche se, a ben vedere, come altre preziose varietà ha attraversato un lungo periodo di oblio, durante il quale è stato progressivamente messo da parte, rischiando addirittura di scomparire del tutto. Per di più, i non addetti ai lavori, per assonanza, spesso ne scambiano il nome con quello dell’aglianico. A proposito del nome, vi sono ancora incertezze sulla sua origine e sul suo significato, ma non ci addentriamo nella questione perché sarà oggetto di altri interventi.

Alcuni ampelografi ipotizzano che l’aleatico derivi da una mutazione del moscato bianco. Le analisi genetiche condotte presso l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige da Crespan e Milani (2001) farebbero piuttosto intravedere una relazione fra moscato bianco e aleatico del tipo genitore-figlio. Una teoria alternativa ne propone la derivazione dal moscato nero. Comunque stiano le cose, è difficile mettere in discussione il legame dell’aleatico con la vasta famiglia dei moscati, la più antica al mondo per quanto attiene alla Vitis Vinifera.

Le incertezze rimangono anche sul piano delle origini storiche; stando a una tradizione che risale al Trinci (1738), esso sarebbe nato in Grecia e sarebbe stato portato in Italia dai coloni greci; a supporto di questa tesi, si è pensato che l’antico nome liatico o liatica potesse derivare dal vitigno greco liatiko, coltivato a Creta; tuttavia le analisi del DNA non hanno confermato la relazione genetica fra i due vitigni.

Vi è chi pensa che l’aleatico potrebbe  avere avuto i suoi natali  in Puglia, ma non vi sono prove certe a sostegno di questa ipotesi. L’origine o il passaggio dalla nostra regione appaiono comunque probabili. Successivamente questo vitigno si sarebbe diffuso sull’Isola d’Elba, nella Toscana meridionale, nel Lazio, in Umbria, Marche, Abruzzo e Sicilia. Fuori dall’Italia l’aleatico è coltivato in Azerbaijan, Australia, California, Cile, Corsica, Kazakhstan e Uzbekistan.

Da dovunque provenga, l’aleatico sembra aver lasciato tracce indelebili della sua presenza nella nostra penisola fin da epoche antiche. Nel corso del XIV secolo lo scrittore e agronomo Pietro de’ Crescenzi (Bologna, 1233 – 1320) parla di un’uva livatica coltivata all’epoca nell’Italia centro-meridionale. Gli fa eco Francesco Redi (Arezzo, 1626 – Pisa 1698), poeta e scienziato dei Medici, che nel Bacco in Toscana tesseva le lodi del vino Liatico. Oggi si pensa che quei nomi si riferissero all’aleatico.

La fama e il prestigio dell’aleatico sono legati particolarmente ai vini dolci che se ne producono. Vi è una lunga tradizione di nettari ottenuti da quest’uva. Fra i più famosi i vini dell’Elba, l’Aleatico di Gradoli e gli Aleatico pugliesi, prodotti particolarmente nella provincia di Bari e nel Salento. In Puglia l’aleatico era molto amato dai vignaioli del passato; nel barese si usava unirne una piccola percentuale al primitivo per ingentilirne il profilo sensoriale. Ma era l’aleatico dolce ad essere particolarmente apprezzato: era centellinato in occasione dei feste e ricorrenze e offerto agli ospiti graditi e alle persone di riguardo.

Quanto all’Aleatico dell’Elba, si racconta che sia divenuto il vino preferito da Napoleone Bonaparte, durante il suo esilio sull’isola (1814). Pare che egli abbia detto che esso fosse la sua unica consolazione durante quel triste periodo.

Con il nome di Vernaccia di Pergola  si trova l’aleatico nelle Marche in provincia di Pesaro dove entra nella denominazione Pergola Doc.

Nella parte settentrionale della Corsica è stato tradizionalmente utilizzato per la produzione di “Rappu”, vera e propria chicca della località Capo Corso. Si tratta di una rarità prodotta in quantità piccolissime a partire da grenache noir e aleatico. Un tempo ogni famiglia ne produceva una piccola quantità per celebrare le grandi occasioni o per usarlo come ricercato ricostituente. Il Rappu si ottiene da uve appassite sulla pianta o in cassette e fatte fermentare in presenza dei raspi.  La fermentazione alcolica è interrotta con l’aggiunta di acquavite quando il residuo zuccherino raggiunge i 100g/l. Questo vino liquoroso dolce  si fa poi invecchiare da tre a cinque anni. Il risultato finale è un vino di un rosso granato luminoso, tendente al mogano, che profuma di frutta cotta, confettura, ciliegia sotto spirito e spezie e che al palato si caratterizza per una piacevole morbidezza e un finale appena amaricante.

Il vino dai mille profumi

Il grappolo dell’aleatico ha dimensioni medie, è alato e compatto, e possiede acini sferici, di medie dimensioni, con buccia blu leggermente spessa, rivestita da abbondante pruina. Il germogliamento è abbastanza precoce, mentre la maturazione avviene di solito nella prima quindicina di settembre.

La vite dell’aleatico ha un buona tolleranza alle malattie, ma può soffrire di acinellatura. Predilige i terreni collinari sciolti e bene esposti e il clima caldo.

In campo enologico l’aleatico mostra una straordinaria versatilità. E’ un eccellente solista, dalla personalità unica, ma sa anche mescolarsi ad altre varietà apportando finezza di profumi e di aromi e gusto vellutato.

Le tipologie dolci, in versione dolce naturale, vendemmia tardiva, passito e persino liquoroso, sono quelle più tradizionali e diffuse e anche quelle maggiormente ammalianti. L’aleatico è però capace di sorprendere per grazia, suadenza e bevibilità anche quando è declinato in rosa, fermo o spumante, in purezza o in blend con altri vitigni. Nella spumantizzazione è il metodo Martinotti a essere preferito perché meglio salvaguarda ed esalta la fragranza olfattiva di questa varietà. Grande gentilezza mostrano i rossi secchi da aleatico, piuttosto rari ma dotati di intrigante personalità.

Nei vini rossi l’Aleatico sfoggia un rubino intenso con sfumature violacee, tendendo  al granato e a toni aranciati e persino color tonaca di monaco con l’invecchiamento.

L’Aleatico  deriva da un’uva semiaromatica,  capace di esprimere un ricco e ammaliante ventaglio di profumi primari, dovuto alla sua ricca dotazione terpenica. In particolare lo caratterizzano il delicato profumo di rose, ma anche di peonia e di viola), di frutti a bacca rossa e nera (come amarena, marasca, prugna, fichi e frutti di bosco), di erbe aromatiche (alloro, mirto, genziana), di spezie (chiodi di garofano e cannella), con ricordo di cacao e cioccolato. Questo particolarissimo corredo olfattivo si svela con la massima ampiezza nei vini dolci da uve appassite, ma è sempre riconoscibile anche quando l’aleatico è declinato in altre versioni.

Nei vini dolci l’impatto al palato è suadente, caldo e vellutato, ma anche perfettamente bilanciato da una spiccata vena di freschezza e da un’impronta tannica deliziosamente gentile.

L’Aleatico è uno di quei vini che sanno essere perfetti anche da soli, donando attimi di puro piacere e di grande distensione, non importa se accompagnato o meno da un bel sigaro.

Rinfrescato a dovere, sa essere un aperitivo impareggiabile e di gran classe.

A tavola, con le sue differenti declinazioni è capace di una versatilità sorprendente.

Le versioni dolci potranno ingentilire terrine di cacciagione e tagli pregiati di carne accompagnati da salse ai frutti di bosco o alla prugna. Ma anche  accostarsi ai formaggi, semistagionati e stagionati, con un’elettiva predilezione per i pecorini.

Quanto ai matrimoni con i dessert,  essi sono praticamente infiniti, sì da spaziare dalle crostate alle tartellette con frutti di bosco, dai bocconotti alle cartellate, dai dolci al cacao e cioccolato a quelli al vin cotto.

 

Per finire

L’affievolimento di interesse che da alcuni anni si registra nei confronti di molti vini dolci sta rischiando di relegare l’Aleatico nel pericoloso angolo del dimenticatoio. Al punto che molti ne hanno scordato la magia organolettica e persino ne confondono il nome, facendo fatica a richiamarne la lunga storia e le avvincenti vicende.

I produttori di vino e gli enologi hanno cercato di parare il colpo inventandosi nuovi modi di plasmare la straordinaria personalità di quest’uva, dandoci  modo indubbiamente di apprezzarne la duttilità e di ampliarne le possibilità di impiego. Mi chiedo, però, da sommelier e da pugliese se abbiamo veramente fatto tutto il possibile per comunicare le peculiarità e le sfaccettature dell’aleatico. Sono certo che dobbiamo fare molto di più, perché, diciamolo chiaramente, con tutta la passione e la determinazione possibili: non ci possiamo permettere di perdere l’Aleatico!