LA MALVASIA DELLE LIPARI di Mauro Pollastri

Malvasia delle Lipari

La prima volta che sono stato alle Eolie ero un ragazzo di dodici anni, in vacanza con la famiglia.

In quei paesaggi vedevo, affascinato, i luoghi che furono di Ulisse, in quei porticcioli mi immaginavo i vascelli dei mercanti greci e romani, immaginavo la gente che lavorava la terra e coltivava le viti su quei terrazzamenti oggi abbandonati. Nel 1988 mai avrei pensato che sarei diventato un produttore di Malvasia e che il legame con l’Isola di Vulcano sarebbe diventato per me così intimo.

Da sempre le Isole Eolie sono state una terra ricca di fascino che ha stregato molte persone, vuoi per la bellezza dei paesaggi, vuoi per la presenza dei vulcani, vuoi per quel particolare senso di isolamento e di microcosmo, vuoi per quell’essenza di Mediterraneo che evocano.

Abitate già nel Neolitico, fin dai tempi dei greci la rilevanza economica della coltivazione della vite alle Eolie è testimoniata da diversi reperti storici. L’origine del vitigno della Malvasia di Lipari è invece dibattuta tra chi ne sostiene l’origine Micenea (XIV – XVI sec.a.C.), l’origine greca (con la colonizzazione dei Greci Cnidi del 1580 a.C.) e chi ne sostiene l’origine veneziana risalente all’instabilità politica verso la fine del Basso Medioevo che ha portato una comunità veneziana appunto alle Isole Eolie.

Quest’ultima, e più recente, ipotesi pare essere suffragata da analisi del DNA (condotte da Manna Crespan, responsabile del Servizio identificazione delle varietà di vite del CREA) che ha identificato analogie tra la Malvasia di Lipari e vitigni risalenti a quelle zone.

Sicuramente il periodo d’oro della Malvasia delle Lipari (e delle Eolie) è stato l’ottocento, quando, durante le invasioni napoleoniche, casualmente gli inglesi si impossessarono di alcune barche che contenevano nelle proprie stive della malvasia. Fu a causa di questo evento che incominciò a svilupparsi un fiorente commercio grazie al quale il prezioso nettare veniva esportato anche in tutto il Nord Europa.

L’avvento della fillossera all’inizio del novecento purtroppo segnò la fine del periodo d’oro delle Eolie determinando un quasi completo abbandono della viticultura, con il conseguente spopolamento. Le difficoltà logistiche e di comunicazione che caratterizzano questi luoghi hanno poi impedito un ritorno ai livelli economici raggiunti.

Queste difficoltà caratterizzano tutt’oggi la viticultura (e le altre attività) in queste isole come una viticultura eroica oltre a costituire una barriera naturale allo sfruttamento intensivo del territorio.

E’ solo con il partire dagli anni ottanta del novecento che si è registrato un risveglio della viticultura eoliana, risveglio lento ma che dura tutt’oggi e che si sta consolidando sempre di più con con l’introduzione di nuovi impianti a Vulcano dall’inizio degli anni duemila, successivamente a Lipari e negli ultimi anni anche a Stromboli e ancora a Salina e Vulcano. Ad oggi tuttavia i terreni vitati alle Eolie ammontano solo ad un centinaio di ettari, ancora enormemente al di sotto del livello dei livelli di sviluppo raggiunti nel XIX secolo.

I numerosi vulcani contribuiscono a rendere i terreni molto variegati in termini di caratteristiche e struttura: si passa da terreni molto fertili sull’Isola di Salina a terreni ricchi di pomice e ossidiana a Lipari a terreni più poveri e formati da cenere lavica sull’isola di Vulcano. A Salina poi la maggior parte dei vigneti di Malvasia hanno una esposizione a Nord-Est o si trovano sulla sella tra i due monti a 400 metri di quota, mentre a Vulcano i vigneti di Malvasia si trovano nella parte meridionale con esposizione Sud e Sud-Est. Ciascuna delle sette isole dell’arcipelago è diversa dalle altre sorelle, così come lo sono i vini.

La pianta di Malvasia di Lipari ben si adatta al clima dell’arcipelago: essa richiede poca acqua e in Estate trae buona parte del proprio fabbisogno dall’umidità che si deposita sulle foglie durante la notte. La fertilità delle gemme è di tipo distale, quindi occorrono potature con tralcio lungo, tipicamente il guyot; l’impianto è tipicamente a spalliera. Il disciplinare della Malvasia delle Lipari (notare la differenza con il nome del vitigno – Malvasia di Lipari) prevede poi una piccola percentuale (tra il 5 e l’8%) di Corinto Nero: uva dagli acini piccoli e che conferisce alla Malvasia delle Lipari quel caratteristico colore ambrato scuro.

L’uva viene raccolta, a seconda delle annate, mediamente tra la prima e la terza settimana di Settembre, dopodiché viene sottoposta ad un processo di appassimento, da tradizione su dei cannizzi (tavole per appassimento in canne di bambù intrecciate) disposti al sole o sotto dei portici.

Dopo qualche settimana, raggiunto il giusto grado di appassimento, le uve vengono pressate e lavorate. Ogni produttore qui ha i propri piccoli segreti: chi fermenta solo il mosto, chi aggiunge le bucce, chi lavora con vasche in acciaio, chi lavora in legno ecc.

Il vino che ne deriva ha comunque sempre delle caratteristiche che lo rendono molto adatto all’invecchiamento: può invecchiare anche decine di anni (se si resiste a non berlo prima) e più invecchia, più migliora.

Il Malvasia di Lipari è un vitigno semi-aromatico e le uve sottoposte ad appassimento, le caratteristiche del vino che ne derivano sono dei sentori di albicocca essiccata, senza però una predominanza di quest’ultima, infatti si notano subito dei sentori più complessi che possono spaziare dal mandorlato, al rosmarino, al balsamico e ad altri sentori che ricordano la macchia mediterranea. In bocca  il Malvasia delle Lipari si caratterizza, oltre che per la componente dolce, anche per la componente sapida e per la freschezza. Vino pieno, persistente, in cui si sente tutta la potenza del sole.

Parlando di abbinamenti, oltre che eccellente per la meditazione, questo vino è ben abbinabile a dolci, ma soprattutto a cioccolati ad alto tenore di cacao, a formaggi erborinati (es. gorgonzola piccante), a piatti a base di acciughe in salamoia o capperi. Come vino da aperitivo si sposa bene con tartine a base di acciughe sotto sale, capperi e ricotta.

Mauro Pollastri

Consorzio Tutela Malvasia delle Lipari