IL SOMMELIER E LE DOLCI MALVASIE di Giuseppe Baldassarre

Quella delle malvasie è una famiglia tanto vasta ed eterogenea, quanto antica e rinomata. Il nome è di chiara origine greca, derivando dal termine Monenvasia o Monemvasia, che fa riferimento a un’antica città-fortezza marittima del Peloponneso, dotata di un porto a una sola entrata. La trasformazione per assonanza del termine in malvasia o malvagia fu opera dei Veneziani, che nel Medioevo, a partire dal XIII secolo, ne fecero uno dei vini più famosi e ricercati di tutta l’Europa. Il termine passò successivamente a indicare una pluralità di vitigni e di uve.

L’appellativo malvasia, che si riferiva a vini dolci e alcolici provenienti dalla parte orientale del Mediterraneo, principalmente da Creta e da Rodi, si estese poi ai locali veneziani nei quali se ne svolgeva il commercio. Si trattava di enoteche vere e proprie, frequentate da clienti appartenenti ai ceti più elevati. A due passi da Piazza San Marco vi erano molti di tali locali in una strada chiamata Calle de la Malvasia. L’ importazione di malvasie dalle isole greche rappresentò una fiorente e redditizia attività commerciale per i veneziani fra il XIII e il XVI secolo; la conquista fra il XVI e il XVII secolo da parte dei musulmani dei territori di produzione precedentemente sotto il controllo della Serenissima, determinò una drastica riduzione di tali commerci. A quel punto i veneziani diffusero le viti di malvasia in tutto il bacino dell’Adriatico.

Un nome dai tanti volti

Con qualcosa come 18 vitigni diversi ufficialmente riconosciuti, quella delle malvasie è una delle famiglie più numerose del panorama vitivinicolo italiano. Vi sono malvasie a bacca bianca, a frutto nero e persino rosa, non sempre accomunate dallo stesso profilo genetico. Oltre che per il colore dell’acino, le diverse varietà di malvasia possono essere distinte per la presenza o meno del delicato aroma che ricorda quello del moscato; quelle che ne sono prive sono definite a sapore semplice o neutro.

Dai diversi tipi di malvasia scaturisce un incredibile ventaglio di vini bianchi, rosati e rossi,  secchi, dolci, fermi e frizzanti.

Fra le malvasie più antiche e di maggior pregio vi è quella delle Lipari; sembra sia giunta, anche se con altro nome, con i primi conquistatori greci, che, già intorno al 580 a.C., colonizzarono  le Eolie e le chiamarono così pensando che fossero la dimora di Eolo, dio dei venti. A Lipari sono state ritrovate monete raffiguranti piante di vite e grappoli d’uva risalenti al V secolo a.C. Geneticamente identici alla malvasia delle Lipari si sono rivelati il greco di Gerace, dal quale si ottiene un raro e delizioso vino passito, il Greco di Bianco DOC, la malvasia di Bosa in Sardegna, la malvasia di Dubrovnik in Dalmazia e quella di Sitges in Spagna.

La malvasia bianca è piuttosto diffusa nel Sud Italia e  in Puglia rientra nella composizione dei vini bianchi della DOC Leverano.

Meno diffusa nel territorio pugliese è la malvasia bianca di Candia, che ha tuttavia  rilevanza nazionale, essendo coltivata principalmente in Lazio, Toscana, Liguria,  Lombardia, Umbria ed Emilia Romagna.

La malvasia di Candia aromatica è un vitigno a bacca bianca, imparentato da vicino col moscato bianco, e caratterizzato da una spiccata aromaticità dovuta alla ricca dotazione terpenica. Coltivata principalmente in Emilia, la ritroviamo anche in Lombardia, nell’Oltrepò Pavese.

La malvasia bianca lunga, detta anche malvasia del Chianti, è presente da secoli in Toscana, ma è coltivata anche in Veneto, Lazio, Abruzzo e Puglia; ricerche genetiche recenti hanno individuato che essa corrisponde alla Marastina in Croazia e all’antico vitigno greco chiamato Pavlov.

Diffusione regionale ha invece la malvasia del Lazio, detta anche malvasia puntinata, utilizzata soprattutto nei vini bianchi delle DOC Marino e Castelli Romani.

La malvasia istriana è invece tipicamente localizzata in Friuli Venezia Giulia e  Veneto.

La malvasia di Sardegna è conosciuta nelle varianti di Campidano e Bosa.

Fra le malvasie a bacca nera, quella di Lecce e quella di Brindisi, delicatamente aromatiche, pur avendo uno stesso profilo genetico, sono iscritte nel Registro Nazionale con due codici differenti.

Molto vicina a tali malvasie da un punto di vista ampelografico e genetico è anche la malvasia nera di Basilicata.

La malvasia di Schierano è un vitigno a frutto nero diffuso principalmente in Piemonte, dove entra nella composizione dei vini dolci Malvasia di Castelnuovo Don Bosco DOC e Malvasia di Casorzo d’Asti DOC.

La malvasia rosa è  un vitigno a bacca rosa derivato per mutazione gemmaria dalla malvasia di Candia aromatica. Diffusa soprattutto in Emila Romagna, è utilizzata per produrre un piacevole rosato, anche in versione spumantizzata.

I vini dolci pugliesi da malvasia

La Puglia è stata fin dal medioevo terra di moscati e malvasie, raffinati vini dolci utilizzati non solo in occasione di ricevimenti e banchetti, ma anche durante le celebrazioni liturgiche.

La crisi, che in anni recenti ha interessato il mercato dei vini dolci, ha purtroppo causato di riflesso un calo notevole della produzione di etichette di tale tipologia ottenute dalle malvasie. Allo stato attuale sono rimaste poche etichette a rappresentare questa tipologia in Puglia; tuttavia, il livello qualitativo dei vini è alto e fa sperare in una ripresa di interesse per questo piccolo ma prezioso giacimento enoico regionale.

La maggior parte delle etichette oggi prodotte si colloca nel Salento; i vini sono passiti o vendemmie tardive  ottenuti per lo più da malvasia bianca, di solito in blend con altre varietà (moscato bianco, sauvignon blanc); vi è un’etichetta, da malvasia bianca in purezza realizzata nel territorio murgiano, a Gravina in Puglia. Esiste, sempre in terra salentina, qualche versione da malvasia nera di Brindisi o di Lecce, interpretata in purezza o in taglio con il negroamaro.

Le malvasie dolci pugliesi nel bicchiere

Raffinati vini da dessert, da formaggi o da meditazione, decantati per la loro straordinaria eleganza, le malvasie pugliesi sono state tradizionalmente considerate simbolo di ospitalità e amicizia e riservate a occasioni e persone speciali.

Nel caso dei bianchi, i colori, di esaltante brillantezza e luminosità, vanno di solito dal dorato scintillante al prezioso ambra.

Il profilo olfattivo, intenso e complesso, si contraddistingue per una fine aromaticità, che declina riconoscimenti di albicocca, pesca e frutta esotica, talora essiccata, in confettura o sciroppata, delicate nuance floreali di acacia e tiglio, e sentori di muschio e di erbe aromatiche macchia mediterranea. Il gusto è dolce, lungo e vellutato, equilibrato e armonioso, impreziosito da ricordi aromatici.

Per quanto riguarda i rari rossi, le tonalità cromatiche citano il porpora e il rubino in gioventù e il granato con qualche anno di evoluzione.

La tela aromatica olfattiva si dipana fra toni fruttati di amarena e ciliegia, anche sotto spirito e in confettura, le citazioni floreali di viola e i richiami di erbe profumate e di spezie dolci. La suadenza e l’avvolgenza del sorso è mitigata da una tannicità  levigata e non invadente, a supporto delle componenti fresco-sapide.

L’abbinamento canonico delle malvasie pugliesi  è quello con i dolci di pasta di mandorla, dei quali la pasticceria regionale annovera varianti numerosissime. Deliziosi risultano anche gli accostamenti con dolci di ricotta, crostate, bocconotti e cartellate al miele, solo per fare qualche esempio.

Di sicura soddisfazione risulta anche il connubio con formaggi semistagionati, pecorini, vaccini o misti.

Sempre più spesso i vini dolci trovano appagante impiego in abbinamenti meno convenzionali, per esempio con piatti di carne speziati accompagnati da salse alla frutta.

La meditazione e lo spazio del fine pasto costituiscono altre opportunità per lasciarsi conquistare dalle fascinose sfumature organolettiche di questi vini straordinari, capaci di raccontarci con stile moderno storie dalle radici antiche, eredità e memoria della nostra appartenenza alla civiltà mediterranea.

 

Dott. Giuseppe Baldassarre